DISCORSO DEL PAPA FRANCESCO

Martedì, 25 ottobre 2022

Illustri Leader delle Chiese cristiane e delle Religioni mondiali, fratelli e sorelle, distinte Autorità!

Ringrazio ciascuno di voi che partecipate a questo incontro di preghiera per la pace. Speciale riconoscenza esprimo ai Leader cristiani e di altre Religioni, animati dallo spirito di fratellanza che ispirò la prima storica convocazione voluta da San Giovanni Paolo II ad Assisi, trentasei anni fa.

Quest’anno la nostra preghiera è diventata un “grido”, perché oggi la pace è gravemente violata, ferita, calpestata: e questo in Europa, cioè nel continente che nel secolo scorso ha vissuto le tragedie delle due guerre mondiali – e siamo nella terza. Purtroppo, da allora, le guerre non hanno mai smesso di insanguinare e impoverire la terra, ma il momento che stiamo vivendo è particolarmente drammatico. Per questo abbiamo elevato la nostra preghiera a Dio, che sempre ascolta il grido angosciato dei suoi figli. Ascoltaci, Signore!

La pace è nel cuore delle Religioni, nelle loro Scritture e nel loro messaggio. Nel silenzio della preghiera, questa sera, abbiamo sentito il grido della pace: la pace soffocata in tante regioni del mondo, umiliata da troppe violenze, negata perfino ai bambini e agli anziani, cui non sono risparmiate le terribili asprezze della guerra. Il grido della pace viene spesso zittito, oltre che dalla retorica bellica, anche dall’indifferenza. È tacitato dall’odio che cresce mentre ci si combatte.

 

Intervista a Pigi Bernareggi (Tempi, 2013)

«Bill Gates regala computer, la Chiesa educa. Per questo è invisa al potere. A Belo Horizonte come a Milano, bisogna ripartire dalla comunità cristiana»

Un giorno dei primi anni Sessanta sull’aereoporto di Linate plana una comitiva di liceali. E sono girotondi, ole, canti e lacrime per tre giovani coetanei che partono per il Brasile. Entusiasti di un cristianesimo vissuto nelle aule scolastiche, i tre partono per rispondere a una chiamata. Quanto sia lontano quel tempo, a rammentarlo basta la vicenda di Giuliano Ibrahim Delnevo, ventenne italiano convertito all’islam e andato a morire in Siria per la causa del Corano. Intanto, mentre sembra passato un niente da quel mattino – un niente e quell’Italia non esiste più da un bel po’ – uno di quei tre è di ritorno (ma solo di passaggio) qui a Milano. «Mi chiamo don Pigi Bernareggi, sono nato a Milano nel 1939, all’inizio della Seconda guerra mondiale. Ho passato la mia infanzia, come tutti gli italiani a quel tempo, tra fughe e traslochi in vari posti della Brianza e del Trentino. Poi, alla fine della guerra, sono ritornato a Milano e ho cominciato le scuole lì.Mi sono iscritto al liceo Berchet e a metà degli anni Cinquanta sono stato uno di quei ragazzi che hanno partecipato alla nascita di Gioventù Studentesca. Allora era la presenza della Chiesa di Milano nelle scuole pubbliche: in una decina d’anni si creò una rete di comunità di giovani cristiani in tutte le scuole della città. Continuando a occuparmi di Gs mi sono poi laureato all’Università Cattolica. Era il 1962, avrei dovuto fare il professore di filosofia, ma nel dialogo con don Luigi Giussani e il rettore del seminario che poi sarebbe diventato monsignor Giovanni Colombo, capii che dovevo entrare nel seminario della diocesi».

 

Il prete delle baraccopoli Pepe Di Paola ha messo in guardia dal rischio di un "falso progressismo", 

istigato dal capitale transnazionale, che in nome dei poveri promuove solo una cultura che favorisce i desideri individualistici di alcune classi medie benestanti.Nel bel mezzo dell'inaugurazione a Bahía Blanca di un nuovo "Hogar de Cristo", un progetto di case per la prevenzione e la riabilitazione  di persone con problemi di droga iniziato a Villa 21, padre Pepe ha affermato: "C'è un falso progressismo, perché si vede che dietro a striscioni che hanno a che fare con il progresso della società c'è un forte  capitale che risponde a interessi molto concreti. L'abbiamo detto più volte con la questione delle droghe,  per esempio, gli investimenti di Soros e di tanti altri che hanno gli occhi puntati sul business. Hanno iniziato con la propaganda di questa naturalizzazione del consumo che si può vedere in molte persone che lavorano nei media, nelle riviste, dove vogliono far sembrare normale la marijuana senza sapere che la marijuana fumata  dai bambini è molto diversa da quella fumata dagli hippy quando eravamo giovani e come ci veniva mostrata nei film.Ci sono molti inganni perché c'è il business. Così come c'è un giro d'affari nelle cliniche abortive, c'è anche un giro  d'affari nella vendita di farmaci. Ci sono Paesi che, dopo aver iniziato a legalizzare, stanno tornando indietro perché  vedono i danni che sta causando. Ma fa parte del capitalismo in cui viviamo. E gli stendardi che prima venivano innalzati dal mondo capitalista ora vengono innalzati da quelli che si definiscono i progressisti argentini. Sembra che stiano facendo una grande rivoluzione approvando leggi che alla fine sono un grande affare per il capitale.

"L'occhio guarda per questo è fondamentale. È l’unico che può accorgersi della bellezza.
La visione può essere simmetrica, lineare o parallela, in perfetto allineamento con l’orizzonte. Ma può essere anche asimmetrica, sghemba, capricciosa, non importa, perché la bellezza può passare per le più strane vie anche quelle codificate dal senso comune. E dunque la bellezza si vede perché è viva e quindi reale. Diciamo meglio che può capitare di vederla dipende da dove si svela. Ma che certe volte si sveli, non c’è dubbio.
Ecco perché bisogna stare dalla parte dell’occhio, l’occhio che osserva scruta i dettagli e l’orizzonte insieme, vede le piccole e le grandi cose, il gesto minimo e l’azione prolungata.

E la cecità allora? No, la cecità non è un problema, almeno fino ad un certo punto. Il cieco vede gli odori, riconosce i movimenti dell’aria, si accorge con la sua sensibilità. Perché la bellezza quando appare, sposta tutti i sensi e si sa anche far ascoltare. No, la cecità non è un problema.
Il problema è avere occhi e non saper vedere, non guardare le cose che accadono, nemmeno l’ordito minimo della realtà. Occhi chiusi. Occhi che non vedono più. Che non sono più curiosi. Che non si aspettano che accada più niente. Forse perché non credono che la bellezza esiste. Ma sul deserto delle nostre strade, Lei passa, rompendo il finito limite e riempiendo i nostri occhi di infinito desiderio" (Patrizio Barbaro).

Di Antonio Sicari (Tracce, Febbraio 1990)

Grandi cambiamenti in Europa orientale: viene abbattuto il muro di Berlino, crollano antiche dittature, interi paesi si aprono alla democrazia e al mercato capitalistico. Molti inneggiano al «fantastico 1989». Ma l'Occidente cosa ha da offrire? E la Chiesa è pronta a raccogliere la sfida?

1. Davanti agli avvenimenti che stanno scuotendo e sconvolgendo l'Europa e il mondo, il teologo - come ogni buon cristiano - si interroga anzitutto sulla relazione che essi hanno con la «indomabile speranza cristiana». Si chiede perciò come (e se) tali cambiamenti affrettino la venuta del Regno di Dio, e quale coscienza e responsabilità chiedano ai credenti in Cristo.

2. Ciò che più direttamente interroga il teologo è anzitutto la correttezza e la consistenza di quella «sacralizzazione con accenti messianici» che si è verificata, proprio in stridente coincidenza col tempo liturgico dell'Avvento. Non solo la grande stampa ha creato un clima e un linguaggio da Avvento, ma la stampa ufficialmente cattolica ha pesantemente calcato la mano in un trionfalismo sorprendente: Gorby viene accostato a Giovanni Battista, viene accolto con «la storia è con te» e viene «salutato (biblicamente) dai santi che sono in Roma». Si usano espressioni che sembrerebbero più adatte a qualificare il mistero dell'Incarnazione: «L'impensabile si è avverato, l'imponderabile è esploso, l'inenarrabile ha preso corpo, il mistero della storia ha vinto i piani degli uomini». Per quanto si voglia dare a tali espressioni il loro senso ottimale (utilizzando una certa «teologia della storia»), non sarebbe dovuto sfuggire agli autori che esse finivano di fatto per dar luogo a una specie di «svendita cristologica». Oltretutto - se proprio si vuol leggere i fatti religiosamente e cristianamente - i protagonisti del comunismo che vengono a rinnegare la loro storia e a lasciar cadere i loro «muri di divisione» assumono la fisionomia del «pentito» (e dovrebbero assumere anche quella del «penitente») - non certo quella del «Salvatore».

3. Scendendo più a fondo nella questione «teologica» gioverà ricordare che nessun messianismo è mai stato privo di ambiguità. Se perfino quello di Cristo è stato malcompreso da tanti, a maggior ragione queste incomprensioni si verificheranno nei confronti di quei piccoli messianismi che la storia di volta in volta porta con sé (ammesso che di messianismo si possa parlare). E poiché si è voluto «creare» un clima di Avvento attorno a questi mutamenti socio-politici non sarà fuori luogo ricordare il Vangelo della seconda domenica di Avvento, in cui Giovanni Battista rimprovera i Farisei che andavano a farsi battezzare senza aver fatto «degni frutti di penitenza». Si vuol dire cioè che gli uomini cercano continuamente di poter demandare alla costruzione o al cambiamento dei sistemi sociali il problema della loro conversione. Pertanto, se gli avvenimenti in corso hanno una sostanza buona, veramente salvifica, essa è depositata unicamente nel misericordioso disegno di Dio, e il suo «riferimento terreno» deve essere rintracciato direttamente nel cuore di coloro che per questi cambiamenti hanno sofferto, pregato, gridato a Dio la loro angoscia.