Di Antonio Sicari (Tracce, Febbraio 1990)
Grandi cambiamenti in Europa orientale: viene abbattuto il muro di Berlino, crollano antiche dittature, interi paesi si aprono alla democrazia e al mercato capitalistico. Molti inneggiano al «fantastico 1989». Ma l'Occidente cosa ha da offrire? E la Chiesa è pronta a raccogliere la sfida?
1. Davanti agli avvenimenti che stanno scuotendo e sconvolgendo l'Europa e il mondo, il teologo - come ogni buon cristiano - si interroga anzitutto sulla relazione che essi hanno con la «indomabile speranza cristiana». Si chiede perciò come (e se) tali cambiamenti affrettino la venuta del Regno di Dio, e quale coscienza e responsabilità chiedano ai credenti in Cristo.
2. Ciò che più direttamente interroga il teologo è anzitutto la correttezza e la consistenza di quella «sacralizzazione con accenti messianici» che si è verificata, proprio in stridente coincidenza col tempo liturgico dell'Avvento. Non solo la grande stampa ha creato un clima e un linguaggio da Avvento, ma la stampa ufficialmente cattolica ha pesantemente calcato la mano in un trionfalismo sorprendente: Gorby viene accostato a Giovanni Battista, viene accolto con «la storia è con te» e viene «salutato (biblicamente) dai santi che sono in Roma». Si usano espressioni che sembrerebbero più adatte a qualificare il mistero dell'Incarnazione: «L'impensabile si è avverato, l'imponderabile è esploso, l'inenarrabile ha preso corpo, il mistero della storia ha vinto i piani degli uomini». Per quanto si voglia dare a tali espressioni il loro senso ottimale (utilizzando una certa «teologia della storia»), non sarebbe dovuto sfuggire agli autori che esse finivano di fatto per dar luogo a una specie di «svendita cristologica». Oltretutto - se proprio si vuol leggere i fatti religiosamente e cristianamente - i protagonisti del comunismo che vengono a rinnegare la loro storia e a lasciar cadere i loro «muri di divisione» assumono la fisionomia del «pentito» (e dovrebbero assumere anche quella del «penitente») - non certo quella del «Salvatore».
3. Scendendo più a fondo nella questione «teologica» gioverà ricordare che nessun messianismo è mai stato privo di ambiguità. Se perfino quello di Cristo è stato malcompreso da tanti, a maggior ragione queste incomprensioni si verificheranno nei confronti di quei piccoli messianismi che la storia di volta in volta porta con sé (ammesso che di messianismo si possa parlare). E poiché si è voluto «creare» un clima di Avvento attorno a questi mutamenti socio-politici non sarà fuori luogo ricordare il Vangelo della seconda domenica di Avvento, in cui Giovanni Battista rimprovera i Farisei che andavano a farsi battezzare senza aver fatto «degni frutti di penitenza». Si vuol dire cioè che gli uomini cercano continuamente di poter demandare alla costruzione o al cambiamento dei sistemi sociali il problema della loro conversione. Pertanto, se gli avvenimenti in corso hanno una sostanza buona, veramente salvifica, essa è depositata unicamente nel misericordioso disegno di Dio, e il suo «riferimento terreno» deve essere rintracciato direttamente nel cuore di coloro che per questi cambiamenti hanno sofferto, pregato, gridato a Dio la loro angoscia.
4. Per quanto ci riguarda, come cristiani, a noi interessa il progetto di «nuova evangelizzazione», («quasi come ai primi giorni»), al quale il Papa ci impegna. Pertanto, tutte le barriere che si abbattono e facilitano oggettivamente la libertà della Chiesa e delle coscienze, e il cammino missionario dei credenti, ci trovano consenzienti, favorevoli e grati, da questo esclusivo punto di vista.
5. Ma il bisogno di «nuova evangelizzazione» non può farci dimenticare che una Chiesa già esiste, che una evangelizzazione è già pur venuta, ed è stata in qualche modo mancata (non per la storia che essa ha saputo costruire in questi duemila anni e per gli uomini che in questi due millenni hanno incontrato Cristo), ma per la situazione contemporanea in cui la Chiesa verifica dolorosamente la sua quasi impotenza a creare una tradizione (una trasmissione della fede tra le generazioni) e a permettere l'esperienza viva dell'incontro con Cristo (esperienza che si faccia cultura e costruzione sociale). In quanto il bisogno di «nuova evangelizzazione» è anche un giudizio severo sulla situazione attuale dell'evangelizzazione, la gioia per le nuove possibilità offerte dai cambiamenti in atto non può essere disgiunta dalla preoccupazione, dal chiederci con serietà se, ad approfittare del cambiamento, saranno i nuovi evangelizzatori o non piuttosto coloro che intendono portare gli ultimi colpi addosso alla vecchia evangelizzazione (oltre che, evidentemente, impedire la nuova!).
6. Interrogarsi su ciò che abbiamo detto, diventa di una gravità estrema se si scende nel cuore o all'origine dei cambiamenti in atto. Sarebbe ingenuo pensare che tali cambiamenti non abbiano anche una regia molto terrena e molto scaltra. Non tocca a me identificare i protagonisti di tale regia (nemmeno tanto occulta: vogliamo definirla con un nome simbolico, come regia del «padrone del mondo»?), ma solo uno sciocco crederebbe che certi sistemi sociali che si sono retti per decenni a prezzo di milioni di morti cadano oggi, uno dopo l'altro, come birilli, solo per una ventata di buona volontà e di resipiscenza. D'altra parte, è evidente da mille segnali che il progetto in atto è più o meno quello descritto (e condiviso) da Biagi sul Corriere del 7.12.89: - Cristo non è riuscito a fare i cristiani (e il Papa lo sa) - Marx (e i suoi) non sono riusciti a fare l'uomo nuovo sovietico (e Gorbaciov lo sa). È giunto dunque il momento che ambedue (o tutti e quattro! Cristo e il Papa, Marx e Gorbaciov) rinuncino al loro progetto in favore dell'«uomo nuovo» che sarà anche un «uomo religioso», ma non cristiano, né marxista. Questo uomo nuovo sarà religioso perché dalle due religioni (cristiana e marxista che, dunque cessano di essere due fedi) trarrà quei valori religiosi (etici, culturali, solidaristici, pacificanti, ecc.) che soli sono in grado di sorreggere la nuova società.
7. Ciò che resta più sottaciuto ma incombente è il fatto che questo uomo nuovo, sarà soprattutto un uomo economico (e l'ecumene sarà economica) totalmente gestito nel ritmo produzione-godimento. (Ora regia e «padrone del mondo» risultano più identificabili). Allo stesso modo, compito della «religione» sarà da un lato quello estetico-culturale (un look molto sofisticato), dall'altro quello di rendere l'uomo docile alle ferree leggi del mercato e soprattutto quello di contenere le spinte eversive che un tale progetto incontrerà (gestendo il mondo degli emarginati, degli improduttivi e dei nevrotizzati).
8. L'aspetto più grave di tutta questa situazione è che, non escludendo la religione dal loro progetto, questi costruttori dell'uomo nuovo usano logicamente un linguaggio religioso per certi versi simile o perfino identico a quello dei cristiani. Ne deriva che molti anche tra i pastori sottolineando con forza certi valori religiosi (pace, rispetto della creazione, solidarietà) - come è giusto fare - finiscano però per allearsi semplicemente con chi di questi valori intende fare l'uso anti-cristiano che abbiamo esposto, e che molti cristiani vengano lasciati in balia della confusione più totale e delle alleanze più ibride e pericolose. Pastori e fedeli destinati tragicamente - in nome di importanti valori religiosi! - a collaborare alla liquidazione del cristianesimo, e senza neppure accorgersene.
9. La nostra speranza è tuttavia invincibile per un motivo molto semplice: quando si può programmare la storia, l'errore più grande che si può fare è quello di considerare irrilevanti e persino inesistenti dei soggetti storici la cui forza è invece determinante. Ora, nel progetto storico che abbiamo descritto, Cristo viene considerato una nullità (o al massimo un rispettabile personaggio del passato) e la Chiesa viene considerata una istituzione umana e non la sposa di Cristo, viva e fedele nonostante i suoi peccati. Poiché il progetto descritto non tiene dunque conto di Colui che è «centro del cosmo e della storia» né di Colei che è «fondata sulla pietra» (come Gesù ha promesso al suo primo apostolo), avverrà che esso dovrà necessariamente naufragare. Ma a collaborare alla vittoria di Cristo e della Chiesa per il bene di tutti, saranno semplicemente dei cristiani: coloro cioè che, di schianto, senza nessuna preoccupazione, senza nessun compromesso, senza nessuna mediazione (che non sia quella della loro presenza umana e della loro operosità sociale), ma con la sola forza della loro vita, della loro compagnia stretta attorno a Cristo, offriranno al mondo l'esperienza che Cristo è risorto, è vivo qui e ora, e salva qui e ora, ciò che è veramente umano e degno dell'uomo. 10. «Oltre il muro: la grande pace». I termini sono troppo suggestivi per non evocare quelli della lettera agli Efesini: «Egli è la nostra pace, Colui che ha fatto dei due popoli un popolo solo, abbattendo il muro delle divisioni che era frammezzo, cioè l'inimicizia, per creare in se stesso... un solo uomo nuovo, facendo la pace» (Ef. 23,40-15).